Il coraggio di cambiare (problemi di una matricola)
Come ogni matricola mi sono catapultata nel mondo universitario un po’ impaurita ma felice di aver finalmente raggiunto quel tanto agognato step. I primi tempi sono stati meravigliosi: piena di entusiasmo, persone nuove, una grande città da scoprire e in cui crescere ma soprattutto una nuova autonomia con cui fare i conti.
L’università
mi piaceva, avevo scelto di studiare comunicazione a Milano, nello specifico un corso
che aveva anche aspetti di marketing e d’impresa. Pensavo fosse una grande
opportunità per coltivare i miei interessi e per spenderli poi sul mondo del
lavoro.
Anche
se ancora facevo fatica a capirne il funzionamento e mi sentivo abbastanza
estranea a quel mondo in cui di colpo diventi un numero e i professori non
sanno neanche chi sei (al liceo ci fai merenda con i prof, figuriamoci), mi
dicevo però che sarebbe stata solo una questione di tempo e di adattamento.
Vivevo
la mia vita alla grande, uscivo spesso per incontrare amici, per bere qualcosa
o per andare a delle feste – a Milano svolti l’angolo e ti imbatti in un evento. Ogni volta rimanevo abbagliata dallo scintillio della grande
città e dal perenne flusso di persone così indaffarate e veloci.
Tutto
questo riempiva la mia vita ma dall’università sentivo che stavo ricevendo
poco, molto poco. Non ci pensavo mai a quello che facevo. Andavo a lezione ma
spesso finiva tutto lì, io rimanevo impassibile e nulla si smuoveva dentro di
me. Pensavo, beh d’altronde si sa che le prime lezioni sono le più noiose e che
ci si addentra negli argomenti andando avanti con il tempo. Con tutti i miei
discorsi razionali sarei andata avanti così non si sa per quanto. Anche perché
lo ammetto, stare a Milano era figo e io non volevo tornare a casa per nessuna ragione.
Ma
c’era qualcosa nel mio corpo che mi bloccava. Questo qualcosa un bel giorno, davanti alla valigia vuota che stavo preparando per partire il lunedì mattina seguente, si è imposto manifestandosi. Mi sono messa a piangere dicendo che io a Milano
non volevo più andarci e che dell’università non ne volevo più sapere niente.
Non
capivo come mai potessi aver avuto una reazione tale e per questo mi buttavo
giù sempre di più, fondamentalmente perché non sapevo dove volessi arrivare.
È
stata una crisi profonda, da cui non vedevo via d’uscita perché non sapevo cosa
fare della mia vita e perché tutte le mie certezze erano crollate. Dalle
crisi però ho imparato che nascono cose meravigliose, perché è in quei momenti
che pensiamo veramente a noi e ci poniamo davanti chi siamo.
Così
l’ho fatto anche io, finalmente.
Non
è stato facile. Ho passato momenti in cui ho messo in discussione tutto, in cui
non volevo nemmeno più fare l’università oppure un giorno parlavo di medicina e
quello dopo di filosofia.
Poi
mi sono ascoltata. Ho sentito che in realtà qualcosa che mi “smuovesse” dentro c’era
eccome.
Mi
smuoveva conoscere le passioni che ci rendono vivi, le insicurezze e le paure
che ci rendono fragili, le emozioni che ci uniscono.
Mi
smuoveva studiare l’uomo nel suo profondo, con tutte le sue forze e le sue
debolezze.
Dove studiare tutto ciò se non in ciò
che riflette - da sempre e per sempre - la nostra vita e il nostro essere
uomini? La Letteratura.
Come disse Francis Scott Fitzgerald : “La parte
più bella di tutta la letteratura è scoprire che i nostri desideri sono
desideri universali, che non siamo soli o isolati. Noi apparteniamo”.
Ecco cosa volevo studiare.
A quel punto il resto non contava. Non mi
interessava se andavo contro le aspettative degli altri o se alla fine seguivo
le orme di mia madre. Non
mi importava delle prospettive lavorative e nemmeno se dopo tutto sarei finita
a insegnare alle medie, perché in quel momento ero sicura che stavo seguendo le
mie passioni e ne ero felice.
Il
mondo cambia così velocemente che probabilmente il lavoro che ci ritroveremo a fare domani, oggi
non esiste.
Conviene
intanto scegliere di studiare quello che ci piace, no?
Non rovinatevi la vita, cambiate,
abbiatene il coraggio.
Ginevra
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